RECENSIONE: Vita di paese di Maria Caterina Basile
TITOLO: Vita di paese
AUTRICE: Maria Caterina Basile
EDITORE: Nulla Die
PAGINE: 74
TRAMA:
È possibile fare ritorno in una terra-miraggio, rimasta nell’attesa di un futuro che pare non compiersi mai e trovare finalmente se stessi? Damiano Pellegrino, trentacinquenne simbolo di una generazione in viaggio, ci prova, affrontando e vincendo una difficile sfida.
RECENSIONE
Un romanzo ambientato a Miraggio, un paesino di provincia in Puglia; il testo è impregnato da alcune espressioni dialettali e gergali e questo artificio di straniamento dell’autrice Maria Caterina Basile non fa che rendere il ritmo prosastico più realistico, più verosimile e – oserei asserire – più all’avanguardia. La narrazione risente degli approfondimenti letterari della nostra esordiente scrittrice, infatti fra i battiti scanditi delle varie interpunzioni albergano nobilmente i classici della letteratura, ad esempio il verismo, di cui uno dei massimi esponenti è stato Verga: una sua novella strettamente collegata ai Malavoglia è Rosso Malpelo e, per certi aspetti, il nostro protagonista Damiano Pellegrino è un ragazzo “malizioso e cattivo”… e ha i capelli rossi, un’altra caratteristica che lo accomuna al grande e intramontabile personaggio verghiano.
Da parte mia, c’è stata una full immersion nei monologhi tormentati di Damiano: anche se a volte sembra che tocchino la punta dell’esasperazione, però, in realtà, i suoi flussi di coscienza joyciani sono sempre ammantati e coronati dalle minuziose e paradisiache descrizioni socio-ambientali; proprio questa fusione romanzata e amalgamata con i sapienti refusi veristi – che la nostra autrice dimostra di possedere a pieno titolo – e con gli stralci della letteratura del novecento mitteleuropea ha reso il breve romanzo Vita di paese avvincente e promettente.
In Damiano Pellegrino sono nascoste le ansie e i fallimenti di ognuno di noi. Emigrato in Svizzera, ha il coraggio di tornare a Miraggio dopo diciassette anni, la sua velleità di andare contro la banalità dei valori sociali precostituiti e preconfezionati lo rendono ai suoi stessi occhi il “reietto” della famiglia.
Miraggio è un luogo, percepito dagli occhi del protagonista in modo dualistico: in alcuni casi diventa il giardino dell’Eden in cui rifugiarsi e chiudersi nel proprio Io, mentre in altre circostanze la visione di Damiano si incupisce e qualifica lo stesso topos come una prigione, un ghetto, un lager, un’isola deserta; insomma c’è un effetto specchio preponderante: l’io di Damiano è la proiezione del luogo, allo stesso tempo la gente che vive a Miraggio influenza, a volte negativamente, lo stato d’animo del nostro protagonista. Molto lodevole è l’input benefico e produttivo del professore Brigante, il quale è uno dei pochi che solfeggia le sue doti “impolverate”. Le consapevolezze di un ragazzo che si sente ai margini della società potrebbero essere l’alba di un Sud Italia fiorente, come non lo è mai stato.
La vicenda di Damiano Pellegrino è anche il pretesto per raccontare di “due Italie” in una sola Italia: un’Italia economicamente e culturalmente forte e un’Italia svilita e arretrata che non offre sbocchi lavorativi e che non proietta i nascenti talenti al futuro. Davvero la diatriba si conclude con questa accezione? Con questo interrogativo l’autrice Maria Caterina Basile ci lascia sospesi a mezz’aria perché un’unica risposta non esiste e le disquisizioni sociali sono innumerevoli, ma il suo romanzo solleva uno snodo riflessivo.
Sicuramente Vita di paese ha accarezzato la parte più recondita di me, tanto da leggerlo in un sol fiato. Non pongo alcuna obiezione ai principi che questo romanzo propugna. Alla base c’è il principio che il Sud, terra meridionale, ha bisogno delle nuove generazioni, dei giovani talenti affinché non si inaridisca e possa fiorire e coltivare cultura, ricchezza e forza intellettuale.
Ben condivido l’assunto della nostra autrice; il Sud ha moltissimo potenziale inespresso che dovrebbe emergere e che è perfettamente rappresentato dal protagonista Damiano Pellegrino, giovane “strimpellatore d’animo” in cerca di se stesso. La caratterizzazione di questo personaggio sviscera la dimensione subliminale dell’inconscio insieme ai sensi di colpa in esso celati, tanto è vero che uno dei messaggi principali di questo romanzo é la genuinità del perdono.
Prima di perdonare gli altri bisogna perdonare se stessi e amarsi? Ovviamente sì. Quante volte bisogna perdonare se stessi? Settanta volte sette! Ovvero sempre! Perdonare se stessi significa anche conoscersi e far pace con la propria coscienza per non sentire i sensi di colpa che, tante volte, ottundono e mettono un macigno nell’animo.
Benedetta
Letto e recensito tempo fa, ottima recensione