RECENSIONE: Quello che abbiamo in testa di Sumaya Abdel Qader
TITOLO: Quello che abbiamo in testa
AUTRICE: Sumaya Abdel Qader
EDITORE: Mondadori
PAGINE: 252
TRAMA:
Horra, un’italiana di nemmeno quarant’anni, figlia di giordani musulmani, vive a Milano con il marito che la adora e le due figlie adolescenti che più diverse l’una dall’altra non potrebbero essere. La sua non si può proprio definire una vita noiosa, anzi. Come potrebbe, visto che, da perfetta equilibrista, divide le sue giornate tra la famiglia, il lavoro come segretaria in uno studio di avvocati, l’università, che è a un passo dal terminare, il volontariato, le preghiere e le discussioni in moschea, e il suo variopinto ed eterogeneo gruppo di amiche? Eppure, nonostante la fatica e i piccoli problemi quotidiani, nonostante la malinconia per la parte di famiglia che vive lontana, Horra non può che sentirsi serena, felice persino. Ma un giorno, un fatto apparentemente di poco conto ha su di lei l’effetto di uno tsunami. Perché quando, come lei, sfuggi alle classificazioni, quando vivi al confine tra due mondi, quello occidentale e quello orientale, che faticano a riconoscersi tra loro e a riconoscerti, facendoti sentire marziana, estranea, galleggiante, allora inizi a chiederti che cosa significhi davvero essere “liberi”. A maggior ragione se il tuo stesso nome in italiano significa proprio questo, “Libera”. E così, nei mesi che vengono raccontati in questa storia, tra gioie quotidiane e piccole sconfitte, incontri fortunati e discussioni accese, Horra cercherà di trovare una risposta ai suoi tanti dubbi per riuscire a sentirsi, forse per la prima volta in vita sua, davvero fedele a se stessa. Un romanzo lieve che racconta una realtà di cui tutti parlano ma che pochissimi conoscono profondamente, un ritratto vivido e realistico di un’Italia contemporanea che non possiamo più permetterci di ignorare.
RECENSIONE
Sebbene i personaggi siano inventati, le storie sono vere. A narrarcele, in prima persona, è Horra (nome che significa Libera), una quarantenne musulmana nata in Italia, che – prossima alla laurea in Giurisprudenza – svolge lavori di segreteria presso lo studio di avvocatura Belvioletto e fa volontariato presso un’associazione che si occupa di aiutare le donne in difficoltà (di qualunque provenienza). Da qui il suo barcamenarsi tra due realtà diverse, quella di una città come Milano che, pur essendo multietnica, non risparmia a lei e alle sue amiche battute sarcastiche e sguardi di sottecchi, e dall’altra il vivere la propria comunità: le cinque preghiere quotidiane, la moschea, gli incontri con l’Imam per risolvere un caso spinoso, la festa da organizzare per l’associazione e gli eventi da allestire per il Ramadan. Tutto questo con due figlie adolescenti alle prese con i primi amori e un marito che di sicuro non risponde allo stereotipo di uomo musulmano che conosciamo noi.
«Perché certa gente ci prende di mira se pensa che le donne velate siano sottomesse e senza libertà?» riprende con tono sconfortato. Il mio sguardo, come quello delle mie simili, è di intesa. Tra noi ci capiamo. Ma quello di Lucia e Vittoria è un invito a spiegarsi meglio. «Non sarebbe più logico che esprimessero solidarietà o compassione invece che disprezzo e odio? È un controsenso!»
Non è un giallo, né un romanzo dalla trama intricata ma più semplicemente vita vissuta. Horra ci parla delle difficoltà a confrontarsi e ad accettarsi, dei pregiudizi che abbiamo verso tutti i musulmani e che loro nutrono nei nostri confronti (perché è chiaro che c’è il “tanto quanto”). Racconta di come l’ISIS abbia peggiorato le cose, dei piccoli progressi raggiunti con decenni di fatica neutralizzati in un baleno.
“Ma come si può fare di tutta l’erba un fascio?”
Io, da siciliana quale sono, non posso accettare che mi si dica “tutti i siciliani sono mafiosi”, neppure un tedesco accetterebbe la definizione “siete tutti nazisti”, e non credo affatto che tutti i preti siano pedofili. Esistono i mafiosi, i nazisti e i pedofili certo, e nessuno lo nega. Ecco, però, che la notizia di Hina Saleem uccisa dal padre perché rifiutava il matrimonio imposto fa credere che si tratti, se non proprio di Legge coranica, di usanza comune presso tutti i musulmani, mentre è solo una vecchia tradizione che persiste solo in certune famiglie; lo stesso vale per l’infibulazione, ultimo retaggio che sopravvive in alcune zone remote (e, nelle stesse zone, non da tutti praticata) e che, soprattutto, nulla ha a che fare con la religione (per la quale la mutilazione di ogni sorta è vietata).
Chi leggerà questo libro rimarrà sorpreso, scoprirà – ad esempio – che il velo è una devozione religiosa (molto simile a quella dei cattolici di portare l’immaginetta della Divina Misericordia nel portamonete o la coroncina del rosario sempre con sé), e che a una donna mussulmana è concesso chiedere il divorzio se il marito non le procura piacere (e questa mi pare una grande novità per noi che le vediamo solo sottomesse, anzi succubi). A ben vedere, allora, è facile comprendere che soffermarsi all’esteriorità non porta a nulla.
«Nell’Islam fare l’amore non è finalizzato solo a procreare, ma anche al piacere di uomini e donne» risponde Lamia. «Anzi» aggiunge Manar, orgogliosa di una possibilità che spesso gli stessi musulmani ignorano, «una donna può chiedere il divorzio per il solo motivo che il marito non le procura piacere.» «Davvero?» commenta Lucia. «Allora siete più avanti dei cattolici mi sa.»
Il titolo “Quello che abbiamo in testa” è un abbraccio così ampio del testo che, a lettura finita, non ne avrei potuto immaginare uno diverso.
Le musulmane, soprattutto quelle nate in Occidente, stanno facendo molto per lasciarsi alle spalle una mentalità che non può più sussistere, sono determinate, capaci, e questo libro mostra un corollario di donne che lascia ben sperare. Noi occidentali, però, che tanto predichiamo la libertà, dovremmo pur capire che una cosa è sottostare alle leggi di uno Stato, un’altra imporre il proprio “stile”.
Horra, con grande obiettività, da una parte non nega affatto che se permangono usanze ad oggi inaccettabili gran parte di colpa è comunque delle stesse donne che, per assurdo, hanno subito le medesime tradizioni; dall’altra non si tira indietro se deve dare colpe a entrambe le parti, Oriente e Occidente (perché nessuno è perfetto). Chiarisce alcuni punti non per conquistare il lettore ma solo per metterlo a conoscenza di verità ignorate: nel bene e nel male.
È un libro il cui valore risiede nella possibilità di smorzare i fuochi accesi dal giornalismo sensazionalistico, capace di dare vita ad un immaginario collettivo distorto e pericoloso, senza farsi scrupolo delle conseguenze.
Una lettura necessaria, oggi più che mai, per comprendere chi ci vive accanto e sembra non somigliarci affatto.
Adelaide J. Pellitteri
03/12/19