RECENSIONE: Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello
TITOLO: Il fu Mattia Pascal
AUTORE: Luigi Pirandello
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1904
TRAMA:
Il protagonista del romanzo, Mattia Pascal, è un uomo che, non sopportando più di condurre un’esistenza grigia e monotona con la moglie e la suocera, decide di allontanarsi da casa. Recatosi a Montecarlo, vince una forte somma al gioco. Durante il viaggio di ritorno, egli legge casualmente la notizia del ritrovamento del “suo” cadavere: in realtà, si tratta di un errore in cui sono incorsi i suoi compaesani. Dopo l’iniziale comprensibile sorpresa, Mattia Pascal ha come una folgorazione: si sente finalmente libero e può uscire per sempre dalla condizione insopportabile in cui è vissuto fino ad allora. Si reca quindi a Roma dove si fa chiamare Adriano Meis, intenzionato a cominciare una nuova vita.
RECENSIONE
Premessa: prima di iniziare a scrivere questa recensione ho riflettuto a lungo su quale cammino scegliere per parlarvi di questo libro: sarebbe stato meglio qualcosa di professionale o qualcosa di molto più libero ed emotivo?
Insomma, avrei dovuto cercare di fare un’analisi letteraria de Il fu Mattia Pascal, tenendo in considerazione la vita e le idee di Pirandello… o avrei semplicemente potuto darvi la mia interpretazione a caldo?
Ho optato per la seconda possibilità. Non sono un critico letterario e, in tutta onestà, non ne so abbastanza per provare a sviscerare le profondità più misteriose e segrete di quest’opera. Sono, però, una lettrice molto “sentimentale”, e come tale vi espongo le mie personalissime impressioni.
“Il pensiero più fastidioso e più affliggente che si possa avere, vivendo: quello della morte.”
Il fu Mattia Pascal è divertente e tristissimo allo stesso tempo. Dopo alcune (poche) pagine iniziali che mi hanno lasciata abbastanza indifferente, Mattia Pascal ha iniziato a farmi sorridere, ridacchiare, e scoppiare in grosse e grasse risate. Sto esagerando? Non credo: le sue considerazioni per suocera e moglie sono di un’ironia stupenda, le “sfighe” che al principio lo affliggono assurde, la fortuna che poi gioca in suo favore alquanto improbabile… e le sue reazioni lasciano spiazzato e allegrissimo il lettore.
Per essere proprio sincera sincera… ridevo delle sue sfortune: non è carino, lo so, ridere dei disastri altrui. Perdonami, Mattia, non ho saputo trattenermi!
Poi, piano piano, è sopraggiunta la malinconia, piano piano sono entrata nel corpo e nell’anima di Mattia, piano piano siamo entrati in sintonia e ho compreso i suoi disagi, i suoi dispiaceri, il suo strazio. Nella seconda metà mi ha quasi fatta piangere.
Il tema che più mi ha colpita è stata la necessità di rapportarsi con il prossimo. L’uomo dovrebbe essere un animale sociale, giusto? Ecco, Mattia (nei panni di Adriano Meis) ha bisogno di parlare con chi gli sta intorno, ha bisogno di essere ascoltato, di confidarsi, di essere… se stesso. Ma non può. Perché Adriano Meis non esiste e nessuno può venire a conoscenza della sua vera identità. Che vita è una vita di finzione? Non è più vita; diventa, anzi, la vita stessa una bugia e l’uomo non è altro che un’ombra. Non ha consistenza.
Questo argomento, l’interazione sociale, mi tocca molto da vicino: anche io, come Adriano Meis, vorrei dir tante cose a tutti… ma non riesco. Sono finzione anche io? In un certo senso… sì.
La mia doppia personalità funziona al contrario rispetto a quella del personaggio di Pirandello: il vero Mattia può parlare, il finto Adriano no; la vera me (Giorgia) si fa vincer da una timidezza sconcertante e se ne sta zitta, la finta me (Alex) sbandiera a chiunque i suoi pensieri.
Adriano non esiste… Alex esiste?
Molto spesso anche io vorrei prendere e andarmene, far scomparire Giorgia ed essere semplicemente Alex, senza obblighi nei confronti di nessuno, libera da tutto e da tutti. Ma come può un destino di solitudine coincidere con la libertà?
Sono esagerate entrambe le opzioni? Servirebbe una via di mezzo? Probabilmente sì.
Pirandello scrive generalmente in modo facile e lineare, senza frasi troppo complesse, senza curare eccessivamente lo stile, senza fare il raffinato. Tranne, e c’è un’eccezione, per quelle frasi filosofiche che si diverte ad inserire qua e là, quelle riflessioni improvvise, brevi e densissime che sorprendono il lettore, invitandolo a sforzarsi un attimo per comprenderle. Ammetto che alcune le ho dovute rileggere molte volte, prima di arrivare al messaggio dell’autore.
“Copernico ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni e che valore dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali calamità? Storie di vermucci ormai le nostre.”
Il finale di Il fu Mattia Pascal viene spesso considerato negativo e Mattia un fallito… io non sono d’accordo. Secondo me, Mattia Pascal alla fine vince la sua sfida: diventa una persona migliore, un uomo che trova il coraggio per non esser lo zerbino del primo che passa, un uomo non esagerato, non sciocco, un uomo che sa gestire la sua esistenza trovando un giusto equilibrio nelle reazioni agli avvenimenti che il fato gli pone sul cammino. Un uomo che ora ha tutte le carte in regola per iniziare a vivere felice.
Trovo, infatti, particolarmente significativo che il protagonista, sebbene si “suicidi” ben due volte, in realtà non arrivi mai davvero a togliersi la vita…
“Ma voi, insomma, si può sapere chi siete?”
Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e gli rispondo:” Eh, caro mio… Io sono il fu Mattia Pascal.”
Avete letto questo libro? Cosa ne pensate?