Recensione: Follia di Patrick McGrath
TITOLO: Follia
AUTORE:
Una grande storia di amore e morte e della perversione dell’occhio clinico che la osserva. Dall’interno di un tetro manicomio criminale vittoriano uno psichiatra comincia a esporre il caso clinico più perturbante della sua carriera: la passione tra Stella Raphael, moglie di un altro psichiatra, e Edgar Stark, artista detenuto per uxoricidio. Alla fine del libro ci si troverà a decidere se la “follia” che percorre il libro è solo nell’amour fou vissuto dai protagonisti o anche nell’occhio clinico che ce lo racconta.
RECENSIONE
Inizio con una parola: brividi.
Brividi per la storia, brividi per il narratore, brividi per il finale. Non brividi di paura… ma quei leggeri brividi d’ansia che ti colgono quando ti trovi davanti a qualcosa di sublime nel senso più romantico del termine: i brividi di quando sei contemporaneamente affascinato e inquietato da qualcosa, brividi di attrazione e repulsione.
Le donne romantiche, riflettei. Non pensano mai al male che fanno in quella loro forsennata ricerca di esperienze forti. In quella loro infatuazione per la libertà.
Un amore perverso, ossessivo e pericoloso è la distruttiva passione che sconvolge la vita di Stella Raphael, moglie di uno psichiatra che lavora nello stesso ospedale… del paziente del quale Stella si innamora. La fiamma si accende all’improvviso e brucia completamente ogni forma di razionalità nella protagonista, che si ritrova catapultata in un universo di sesso e impulsività.
Il suo amante? Edgar Stark, ex scultore rinchiuso da ben cinque anni per aver ucciso la moglie e aver usato la sua testa come un pezzetto di argilla da modellare…
Il loro rapporto nasce dal nulla ed esplode in un secondo, provocando il crollo di un mondo idilliaco.
Edgar è novità, Edgar è spontaneità, libertà, possibilità di essere selvaggia, fuori dagli schemi, Edgar è l’artista tormentato che può salvare Stella dalla prigionia della noia quotidiana… e lei crede con tutta se stessa in questa relazione, ci crede senza ragioni, senza logica, ci crede oltre ogni confine del giusto, del rispettabile, del civile.
La vita era uno squallido baratto, soldi contro tempo. Coi soldi potevano comprarsi un po’ di tempo, va bene, ma col tempo che cosa si sarebbero comprati? La possibilità di vedere il loro amore trasformarsi in cenere? Sentire che tutto si svuotava di significato era spaventoso.
Il narratore, il dottor Peter Cleave, osserva attentamente il susseguirsi degli eventi, affascinato dall’aspetto clinico della vicenda. Cleave è stato il mio personaggio preferito per quasi tutto il libro: è sempre stato così dolce, così premuroso, così attento ai bisogni di Stella, così disponibile ad aiutare chiunque… Eppure, qua e là, tra i suoi pensieri, ogni tanto compariva quel suo animo “freddo”, la sua visione distaccata da ogni emozione, la sua indifferenza all’elemento personale e privato e la sua attrazione per la psiche con scopi puramente accademici… Il suo animo “da scienziato che considera gli altri come cavie” a tratti mi ha anche “obbligata” a ripudiarlo e odiarlo. Cleave è fintamente professionale e, a mio parere, in qualche riga diventa persino crudele: nell’ultima mezza pagina mi ha completamente spiazzata e le ultime azioni mi hanno lasciata addirittura orripilata. Insomma, dopo aver letto le ultime righe mi sono davvero chiesta chi fosse il “pazzo” della storia.
L’andamento delle vicende è, tutto sommato, tranquillo nella sua inesorabilità, tutto procede con una calma estrema, quasi straniante, e anche i momenti più concitati e sconvolgenti, sono rappresentati come fatti assolutamente inevitabili e privi di eccessivo trasporto sentimentale… Tecnica che non ha fatto altro che aumentare il mio coinvolgimento emotivo, spingendomi a immaginare e vivere io stessa quelle emozioni che nelle pagine erano così superficialmente descritte. Non sto criticando lo stile, anzi… Il distacco è stato una mossa vincente per obbligare il lettore a provare empatia, per obbligarlo a soffrire con i personaggi stessi. Siamo di fronte a un dramma nel quale passioni e irrazionalità sono in primo piano… ma trattati con una tale pacatezza da diventare quasi straniante.
Questo libro mi ha lasciata sconcertata… e mi ha portata a rivalutare il senso stesso della parola “follia“: è più “matto” chi si abbandona al proprio lato irrazionale e animale o chi cerca di sopprimerlo a tutti i costi?
N.B. Ovviamente non voglio difendere le azioni abominevoli compiute da alcuni personaggi nel romanzo, è semplicemente una riflessione sul concetto di “sanità mentale”.