RECENSIONE: Cercando Alaska di John Green

TITOLO: Cercando Alaska
AUTORE: John Green
EDITORE: Rizzoli
PAGINE: 324

TRAMA:
Miles Halter, sedici anni, colto e introverso, comincia a frequentare un’esclusiva prep school dell’Alabama. Qui lega subito con Chip, povero e brillantissimo, ammesso alla scuola grazie a una borsa di studio, e con Alaska Young, divertente, sexy, attraente, avventurosa studentessa di cui tutti sono innamorati. Insieme bevono, fumano, stanno svegli la notte e inventano scherzi brillanti e complicati. Ma Miles non ci mette molto a capire che Alaska è infelice, e quando lei muore schiantandosi in auto vuole sapere perché. È stato davvero un incidente? O Alaska ha cercato la morte? 

RECENSIONE

[Ho letto “Cercando Alaska” due volte: la prima, in inglese, un paio di anni fa; la seconda, in italiano, settimana scorsa. Quindi, subito vi consiglio la lettura dell’originale: le esclamazioni dei personaggi, la loro personalità e l’atmosfera emergono molto più chiaramente dalla vera penna di John Green che non dalla traduzione.]

Il racconto di Miles, detto Ciccio, voce narrante del romanzo, ruota intorno a un istante drammatico, avvicinandosi e allontanandosi inesorabilmente da esso. Insomma, la sua vita può essere divisa in un Prima  e in un Dopo, e lui non potrà mai tornare indietro: la tragedia sarà così sconvolgente da non poterla in alcun modo dimenticare.
Quando ho iniziato a leggerlo non sapevo cosa fosse il prima/dopo. Ho dovuto aspettare 195 pagine prima di avere una risposta. E la risposta è arrivata, inaspettata e improvvisa: mi ci è voluta qualche pagina per realizzare. La vita è troppo effimera. Un istante prima ci siamo e poi puff, l’istante dopo ci siamo dissolti.

Miles, il tipico ragazzo un po’ “sfigato”, che vive di studio e non ha amici, di colpo inizia a vivere l’avventura della sua vita. Amo il modo in cui lui stesso si presenta: ci racconta la sua pessima situazione sociale in tutta tranquillità: ha accettato la sua vita e la sua condizione di “outsider” senza polemiche. Non fa scenate, non cerca disperatamente attenzioni… lui semplicemente non ha amici e lo accetta.

“Ero stato più o meno obbligato  a invitare tutti i miei amici di scuola, cioè l’accozzaglia di svitati del laboratorio di teatro e di secchioncelli intellettuali con cui condividevo, per esigenze sociali, la squallida mensa del mio liceo pubblico, ma sapevo che non sarebbe venuto nessuno.”

“Avvertivo la commiserazione dei miei genitori mentre intingevano le patatine nella salsa di carciofi destinata ai miei amici immaginari, ma erano loro quelli da commiserare, non io. Io non ero deluso. Le mie aspettative si erano realizzate.”

Miles ha una passione: le Ultime Parole Famose, quelle frasi pronunciate da una persona appena prima di morire. John Green ce ne propone una varietà meravigliosa, da quelle più banali a quelle assolutamente intriganti e misteriose. Proprio una di queste citazioni spinge Miles a partire per Culver Creek, un collegio dell’Alabama, dove spera di poter cercare “il Grande Forse” di Rabelais. 

Qui, a Culver Creek, il protagonista inizia la sua ricerca, grazie a un gruppo di amici svitati: abbiamo il Colonnello, autoritario, genio matematico e ideatore di scherzi mitici; Takumi, la “volpe figlia di puttana” (e in quella scena, vi giuro, si muore dal ridere); Lara, la dolcissima rumena con problemi di pronuncia; e, ultima ma assolutamente prima, Alaska Young. Alaska è sexy, maliziosa, provocante, astuta e folle. Così tra corse a perdifiato, inganni all’Aquila (il preside), confessioni sussurrate alla Buca del Fumo e bevute oscene nel granaio, Ciccio si innamora di lei. Lei diventa la sua ossessione. Alaska, però, non è solo bellissima e intelligente: c’è sempre un velo di infelicità nei suoi occhi, una tristezza di fondo, una paura indefinibile, che la porta a chiudersi in se stessa, come quando rifiuta di rispondere a domande che inizino per Quando, Dove, Come, Perché o Cosa. L’Alaska stronza, che beve troppo, che fuma per morire, che si sente sola e non sa cosa fare della sua vita, non trova un modo per uscire dal Labirinto di Dolore nel quale si trova.

“Non è la vita o la morte, il labirinto.”
“Uhm. Sì. E allora cos’è?”
“Il dolore” rispose. “Fare del male, subire il male. Questo è il problema, Bolivar parlava del dolore, non della vita e della morte. Come si esce dal labirinto del dolore?”

Alaska trova solo una risposta, solo una soluzione: dritto e veloce.

Stupenda è la pessima ironia presente in tutto il libro, ogni pagina (anche la più triste) è impregnata di un sarcasmo penoso, di battutacce che fanno ridere da quanto fanno schifo. I personaggi cercano di mostrarsi insofferenti nei confronti delle loro difficoltà, scherzando, buttando lì la frasetta che sempre strappa un sorriso.

Un commento sul rapporto di Miles con i suoi amici: mi irrita il suo atteggiamento da cagnolino nei loro confronti, in particolar modo di Alaska. Ciccio si lascia trascinare troppo, si lascia convincere troppo a fare cazzate, e secondo me, perde in parte la sua identità. Avrebbe potuto essere parte del gruppo, conservando qualcosa in più di se stesso. Avete mai visto Bling Ring? In un certo senso Miles mi ricorda leggermente Marc.

Commento finale: piangerete e vi asciugherete gli occhi, sorriderete e riderete a crepapelle, storcerete il naso, rifletterete o lo prenderete alla leggera… Cercando Alaska può essere un libro filosofico, o un libro divertente e piacevole, dipende dall’atteggiamento con cui lo affronterete. Solo… leggetelo, ne vale veramente la pena. 

[P.S. Copierò il loro scherzone epico:
“Era lì, davanti a noi, sorridente, coperto solo da uno slip, e mica di quelli per benino, bianchi di cotone: pelle nera. Piantato a gambe larghe, Maxx faceva ondeggiare le braccia al ritmo della musica, e la folla si scatenava in risate e applausi lunghi e assordanti…”]

Alex

John Green, Mondadori, recensione, Young Adult

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