COMMENTO: Pentirsi di essere madri di Orna Donath
TITOLO: Pentirsi di essere madri – Storie di donne che tornerebbero indietro. Sociologia di un tabù
AUTRICE: Orna Donath
EDITORE: Bollati Boringhieri
PAGINE: 208
TRAMA:
«Ti pentirai di non avere avuto figli! Ricorda, te ne pentirai!». Questa profezia di sventura accompagna le donne che hanno deciso di non diventare madri. Benché la tecnica moderna permetta da tempo alle donne di scegliere più che mai liberamente se avere figli o meno, l’effettiva scelta di non averli determina ancora una forte stigmatizzazione sociale e una severa colpevolizzazione: «Te ne pentirai!». Tanto che non è neppure pensabile che si dia il contrario, ovvero che una madre si penta di aver avuto dei figli. La sacralizzazione della maternità, anche nelle società avanzate come le nostre, non ammette neppure questa possibilità; manca persino il linguaggio per esprimere questo pentimento, che a molti pare un’aberrazione, una cosa impossibile o, addirittura, immorale. Orna Donath, la giovane sociologa israeliana autrice di questo libro, lei stessa non-madre, ha deciso di infrangere questo tabù e dare voce a un sentimento che è più diffuso di quanto si pensi. Con un’indagine sociologica basata sulle interviste di ventitré donne, descrive l’universo del pentimento materno, che non va confuso in nessun modo con l’amore per i propri figli. Proprio il contrario; in tutte le interviste il pentimento e l’amore materno sono due sentimenti fortemente distinti. Il fatto è che la società si attende a tal punto che le donne diventino madri che molte si lasciano condurre verso questo esito senza soffermarsi a pensare veramente cosa desiderano per se stesse. Questo libro è dunque sociologia come non se ne leggeva da tempo: la capacità di far affiorare un sentire sociale che era davanti a tutti ma che nessuno, prima, vedeva.
COMMENTO
Questo libro riporta i risultati di un ricerca qualitativa condotta tramite interviste con madri che si definiscono “pentite”. Non credo abbia senso scrivere una vera e propria recensione di un saggio del genere, perciò mi limiterò a mettere in risalto alcuni punti che ritengo particolarmente rilevanti e che aiutano a riflettere sulla condizione di madre.
1. Le donne intervistate dalla sociologa Orna Donath sono pentite della maternità, non dei propri figli, ovvero: odiano lo stato di madri e preferirebbero non essere mai diventate madri, ma non odiano i propri figli. Può risultare difficile da comprendere, ma è importante. Per semplificare molto: vorrebbero che i figli non fossero mai nati e sarebbero contente se potessero farli sparire come per magia, ma non vorrebbero ucciderli. Non stiamo parlando di potenziali assassine, bensì di donne che non vogliono i figli che purtroppo hanno.
2. Uno dei temi ricorrenti è proprio la pervasività del ruolo di madre. Quando una donna diventa madre, qualunque sua altra caratteristica deve passare in secondo piano. Prima è madre, poi forse anche il resto (lavoratrice, moglie, appassionata di tennis etc). L’essere “una buona madre” richiede infatti di mettere i figli sempre e comunque al primo posto, richiede amarli più della propria vita e per sempre. Le donne intervistate mettono in dubbio questo sentimento assoluto e senza limiti temporali, che vivono come un’imposizione soffocante. L’amore incondizionato di una madre vale per tutte le donne? O è una costruzione sociale che non trova fondamento biologico? È lecito volere bene ai propri figli ma preferire altro?
3. Come sono diventate madri queste donne? In breve: a causa di pressioni sociali più o meno esplicite. Alcune lo consideravano semplicemente il percorso “naturale” di una donna: si finisce di studiare, si lavora, ci si sposa e si fanno figli. Queste donne hanno scoperto solo dopo il parto di non essere per nulla “portate” per la maternità. Altre invece hanno sempre saputo di non volere figli, ma li hanno fatti per pressioni del partner, della famiglia o della cerchia relazionale. Uno degli argomenti affrontati nel libro è il peso delle politiche nazionali pro-natalitá e degli effetti che hanno sulla vita delle donne (che, in pratica, si sentono in colpa se non fanno figli).
4. La ricerca è stata condotta in Israele una decina di anni fa, ma i risultati sono abbastanza attuali ed estendibili a parecchi altri stati “occidentali”.
Lo consiglio? Sì. Non è proprio leggerissimo ma non è difficile da seguire. Anche le info metodologiche sono riportate in modo molto chiaro. Un ottimo punto di partenza per chi è interessato al tema.