EMOTICONS: uno strumento di comunicazione alternativo
IINTRODUZIONE
Il 3 Aprile del 1973 Martin Cooper fece la sua prima telefonata da un dispositivo di telefonia mobile, fondamentalmente un mattone lego nero delle dimensioni di un tostapane (dell’epoca).
Da allora la telefonia mobile ha fatto passi da gigante, fino ad arrivare ai moderni smartphones. Tuttavia una delle innovazioni più grandi apportate dal sistema di telefonia mobile è stato il sistema di messaggistica inizialmente implementato nei telefoni cellulare tramite i messaggi SMS (Short Message Service).
Questa invenzione e l’inserimento nei sistemi dei telefoni cellulari ha, nel tempo, completamente modificato la comunicazione mediata. Non è però qui che vorrei discutere di questa invenzione e di tutte le conseguenze che ha portato (in oltre non avrei neanche le competenze per farlo). Vorrei invece soffermarmi ad analizzare quello che, di fatto, è stato un “effetto collaterale” della nascita degli SMS: la nascita delle emoticons.
Uno dei più grandi limiti degli SMS era, appunto, la loro caratteristica peculiare di dover essere SHORT (limitazione che poneva come limite di lunghezza i 160 caratteri per l’alfabeto latino e ai soli 70 per alfabeti quali quello cirillico o quello giapponese).
Questo ha portato la mente, sicuramente creativa, di qualcuno a sviluppare un utilizzo atipico del medium dei simboli alfanumerici e ortografici, modificando il proprio modello mentale circa l’utilizzo di alcuni caratteri tipicamente adibiti alla semplice scrittura e punteggiatura, quali ad esempio : ; ‘ ) ( < 3.
Dalla combinazione, quantomeno fantasiosa, di questi caratteri si poteva ottenere un’immagine esemplificativa di un concetto astratto che, in alternativa, avrebbe richiesto molti più caratteri per essere espresso. A titolo esemplificativo: concetti, piuttosto semplici, come sono felice (che avrebbe occupato 11 caratteri) o l’inglese I love you (10 caratteri) si potevano riassumere con la pratica sottrattiva delle vocali (nota come abbreviazioni) e quelle che poi avrebbero preso il nome di EMOJI o EMOTICON in: “SN :)” (occupando soli 5 caratteri) oppure “I <3 U” ( in soli 6). Lo so… sembra una differenza minima ma con una limitazione così stringente, che una volta superata costringeva l’utente ad utilizzare un nuovo messaggio, ogni spazio risparmiato era essenziale. Aggiungendo a ciò l’assenza di piani tariffari che prevedessero pacchetti super convenienti come ad esempio “1000 SMS; 50 GB di internet e 1000 minuti”, ogni SMS inviato costava e anche parecchio!
Ed ecco dunque spiegato in parte perché il sistema di comunicazione emoticon sia riuscito a penetrare nell’uso comune in modo tanto pervasivo (tanto che ad oggi i social media manager le utilizzano per creare continuità e alleggerire i contenuti dei post delle pagine che curano). A ciò potremmo anche aggiungere come spiegazione (più sul versante psicologico) il bisogno che ogni essere umano ha di ottimizzare le risorse cognitive, per cui l’apprendimento di questo registro comunicativo, semplice e immediato, risultava essere un mezzo utile per risparmiare le preziose risorse: anziché spiegare un concetto come quello del senso di intesa, mi basta usare i due simboli “;)”.
Un’altra motivazione che potrebbe essere legata a questo fenomeno sta nella preferenza sensoriale del sistema visivo per raccogliere informazioni dall’ambiente e la conseguente facilità con cui riconosciamo i pattern dei volti, riuscendo a praticare un efficace decoding emotivo anche quando i tratti di questi volti sono minimali. Tuttavia non è in questa sede che voglio cercare una spiegazione psicologica fondata del fenomeno.
Cercherò ora, piuttosto, di analizzare il fenomeno tramite uno schema tratto dalla psicologia cognitiva che lo studia mediante quattro aspetti “tecnici” e, in parallelo, quattro aspetti intrapsichici che riguardano la creazione, l’adozione e l’utilizzo degli strumenti.
[Alla fine dell’articolo vi lascio una spiegazione breve dei quadranti, nel caso non riusciate a capire a cosa questi facciano riferimento, riportando in nero gli aspetti “tecnici” e in rosso gli aspetti intrapsichici.]
LE EMOTICON “ANTICHE”
Partendo dal principio: qual è stato lo sviluppo delle emoticon rispetto a questo schema?
Innanzitutto potremmo partire dalla diffusione massiva degli SMS come sistema di comunicazione. Questo fenomeno ha causato un bisogno (forse sarebbe meglio dire una necessità): ridurre il numero dei caratteri nel testo.
Questo bisogno ha perciò portato, attraverso la creatività di un qualcuno, a rivedere il tipico utilizzo del simbolo della punteggiatura (MEDIUM), modificando dunque il modello mentale tipicamente impiegato per guardare a quei simboli. Generando, perciò, un nuovo sistema di simboli atti a una comunicazione più breve, rapida ed efficace (USO) la quale aveva un ulteriore pregio: riusciva anche a ridurre l’ambiguità di testi che, con scarse doti nella scrittura sarebbero altrimenti potuti risultare asettici o, addirittura, avrebbero potuto dare luogo a delle interpretazioni erronee del contenuto stesso del messaggio. Questo nuovo modo di utilizzare i simboli a disposizione sul tastierino analogico del vecchio cellulare a 15 tasti (almeno, quello era il numero di tasti fisici sul mio vecchio NOKIA 3310) ha provocato un totale ribaltamento delle credenze circa l’utilizzo dei suddetti simboli ortografici.
Infine l’effetto e i criteri personali con cui sono stati valutati li possiamo vedere tuttora: ogni persona che ha uno smartphone (chiunque nei paesi occidentali) ha una vasta lista di emoji tra cui poter scegliere in qualunque sistema di messaggistica preferisca.
[Interessante notare come il Giappone abbia fatto proprio l’utilizzo di questo sistema di comunicazione inserendo in esso caratteri tipici della scrittura giapponese e dell’alfabeto latino incrementando a dismisura la quantità di emoticons possibili che quindi diventavano disponibili ai fini di una comunicazione efficacie; le emoticons così formate prendono il nome di KAOMOJI, fondendo il termine kanji (kao) – ovvero i caratteri della scrittura giapponese – e la parola emoji per l’appunto.
Un esempio tra i più famosi è l’emoticon “shruggie” ¯\_(ツ)_/¯ per rappresentare la scrollata di spalle che nel linguaggio americano può significare tanto un va beh, quanto un più universale I don’t give a fuck. Vi invito comunque ad approfondire il tema delle Kaomoji perchè ne esistono migliaia e alcune sono drammaticamente complesse.]
LE EMOTICON “MODERNE”
Oggi le emoticon hanno una forma molto diversa dalle loro antenate nate sul finire degli anni ’80 e dilagate durante gli anni ’90. Oggi hanno preso forma di veri e propri disegni che rappresentano espressioni di stati emotivi, luoghi, oggetti di uso comune etc.
Per vedere le immagini di quelle che definisco “emoticons moderne” vi basterà prendere il vostro cellulare e aprire una qualunque chat, che sia Whatsapp, Facebook o Instagram poco importa.
Proviamo ora a dare una seconda lettura anche a questa evoluzione delle emoticons usando la peculiarità di questo modello, ovvero la sua bidirezionalità. Partendo dal presupposto che ogni nuovo oggetto creato genera dei risultati da cui si possono generare nuovi bisogni, che in questo caso si sostanzia nell’implementazione di una nuova funzione, mentre in altri nella creazione di un nuovo oggetto che risponda al nuovo bisogno.
Un po’ come la nascita della telefonia mobile ha provocato, per questioni di ottimizzazione di tempi (dovute al fatto che per fare una chiamata servisse tempo e un comune accordo e disponibilità dei due attori coinvolti nella conversazione), la nascita degli SMS che, ad oggi, sono quasi spariti in favore di altri tipi di servizi per la messaggistica mobile.
È quindi ragionevole pensare che la pervasività delle emoticons abbia provocato un nuovo bisogno: quello di poter esprimere più concetti in modo ancor più semplice e ancor più comprensibile; d’altronde le combinazioni di senso che si potevano ottenere dall’interazione dei 10 numeri e di simboli (quali # * )( , . ; :,-), se pur parecchie, erano comunque troppo limitate e non riuscirono a insediarsi come un sistema di comunicazione trasversale tra le diverse generazioni, allontanate da un lato dalla complessità nel memorizzare i codici, dall’altro, forse, dall’eccessiva astrattezza delle immagini ottenute (oltre all’umana tendenza al mantenere uno status quo).
Ciò ha portato i creatori dei nuovi sistemi di messaggistica nell’era della rete 3.0 a ideare nuovi simboli, questa volta legati unicamente a stilizzazioni grafiche che permettessero di ottenere un numero indeterminato di possibilità, non più legato a combinazioni di caratteri, bensì legato a veri e propri disegni, cambiando ancora una volta il medium (mantenendo il significato ma cambiando di fatto il significante utilizzato).
Questo non ha portato però a un drastico cambiamento degli usi e delle modalità di uso di questi strumenti, ha semplicemente aggiunto contesti di utilizzo i quali, data la grande quantità di simboli tra cui scegliere, si sono moltiplicati a dismisura.
Ancora una volta l’effetto è facilmente dimostrato dalla pervasività di questo registro di comunicazione che, rispetto alla sua versione precedente, ha avuto un altro privilegio: far sì che anche le persone più distanti (adulti e alcuni anziani) da questo tipo di comunicazione, tipicamente giovanile, si riuscissero ad avvicinare a questo linguaggio, facendo sì che iniziassero ad utilizzarli come simboli nel loro linguaggio di tutti i giorni in Internet… in realtà, se questo sia effettivamente un bene, sarebbe un interessante spunto per ricerche future ;).
Per quanto riguarda gli aspetti più “umani” dello schema, la nascita di un nuovo bisogno (maggiori possibilità di comunicazione tramite un linguaggio semplice e veloce e comprensibile a tutti), hanno generato nuove mitologie circa questo bisogno, portando a scardinare il precedente modello mentale legato al linguaggio tramite emoticons composte da combinazioni di caratteri, sostituendolo con un linguaggio ancor più semplice, quello dei disegni, inducendo dunque a un’ulteriore modifica delle credenze riguardo all’uso (basti pensare appunto alle persone non più giovani), producendo delle valutazioni che attualmente sembrerebbero essere in larga misura positive.
In conclusione vorrei dire che mi è difficile immaginare come potrà ulteriormente evolversi questo linguaggio, un’evoluzione è forse quella delle GIF (Graphics Interchange Format) ovvero brevi video in CG o brevi spezzoni che si ripetono in loop. Anche se la loro invenzione risale al 1987, solo ultimamente stanno dilagando come sistema di comunicazione che potrebbe essere assimilato, per le funzioni che svolge, alle emoticons. Ciò nonostante ritengo che non si possa parlare di evoluzione vera e propria quanto piuttosto di diffusione in parallelo.
Insomma quale che sia il prossimo passo, sarà sicuramente frutto di un’idea geniale, tanto quanto quella che diede alla luce questo insolito ma molto simpatico sistema di comunicazione.
Qualche commento? Domande?
Voi usate le emoticons per comunicare? In che modo? Vi ritrovate in questo discorso?
EMME
APPROFONDIMENTO SUL MODELLO UTILIZZATO
I quattro quadranti del modello (presentato sopra) prendono in considerazione, i bisogni sviluppati (che quindi richiedono di essere soddisfatti) o gli obiettivi che si desidera perseguire.
Tali obiettivi/bisogni possono essere effettivi o generati dalla società stessa, la quale tende a generare delle mitologie in merito, pensiamo per esempio alla pervasiva diffusione del primo smartphone – quell’iphone da cui tutto è partito – quest’ultima è stata ampiamente accelerata dalla formazione di queste mitologie sociali, che hanno trasformato un oggetto in un vero e proprio culto generando di fatto una sovrastima del bisogno effettivo dell’oggetto.
Il secondo quadrante riguarda il medium utilizzato per rendere lo strumento efficacie. Potrebbero essere strumenti mono o multimediali, sia inteso come messaggio veicolato e recepito tramite diverse fonti sensoriali (vista, udito, tatto etc.), sia come utilizzo di più sistemi linguistici o simbolici per veicolare lo stesso messaggio.
Il medium utilizzato porta con sé specifici modelli mentali che le persone attivano usandolo, tali modelli mentali e possono essere socialmente determinati (anche dalle mitologie viste sopra).
Costruito quindi uno strumento che riesca a rispondere/soddisfare gli obiettivi/bisogni e che utilizza specifici media, ecco che lo strumento inizia ad essere utilizzato (terzo quadrante) e, rispetto ai punti visti prima, ecco che i modelli mentali generano vere e proprie credenze tipiche di utilizzo dello strumento che difficilmente vengono scardinate, se non tramite processi creativi che portano a compiere una rilettura cognitiva, ma questa è un’altra storia…
Infine dopo che lo strumento viene utilizzato si creano degli effetti derivanti dall’utilizzo, l’utilizzo genera delle aspettative che, a livello cognitivo, sono composte a partire dei modelli mentali che si hanno dell’oggetto.
Infine dagli effetti provocati dall’adozione dello strumento potrebbero sorgere nuovi bisogni e qui lo schema assume una forma bidirezionale.